ARDENNO – Due arbitri appartenneti alla stessa famiglia sono un caso raro ma tutto sommato riscontrabile. Tre associati dell’AIA, sotto lo stesso tetto sono invece un po’ meno facili da trovare. La famiglia Ruffoni della Sezione di Sondrio è un esempio di questo raro “fenomeno”. Seguendo le orme di papà Pierantonio che nel lontano 1982 decise di indossare la divisa di arbitro facendo il proprio ingresso nell’Associazione, sono diventati arbitri effettivi nel 2006 il primogenito Alessandro e nel 2011 la seconda figlia Annalisa. Una “terna in famiglia”, come ama spesso dire Pierantonio, orgoglioso di aver portato entrambi i figli nella nostra associazione. E in terna, effettivamente, hanno anche diretto un paio di partite nei tornei estivi federali. “Un’emozione particolare – ricorda la più piccola, Annalisa – tutti e tre insieme sullo stesso campo a dirigere una partita!”.
Incontrandoli la domanda sorge spontanea: perché non è diventata arbitro pure la mamma Elena in modo da avere tutta la famiglia in giacchetta nera? “Non ne capisco nulla di calcio, basti pensare che in più di vent’anni non sono ancora riuscita a farmi spiegare così’è il fuorigioco!”, ci risponde Elena. “E poi il mucchio di divise sporche della domenica sera lieviterebbe ulteriormente – continua scherzando – se dovessimo aggiungervi anche le mie! Diciamo che tre arbitri in famiglia bastano e avanzano!”, conclude seria.
Ma procedendo con ordine chiediamo a Pierantonio, 45 anni e agente di Polizia Locale, di raccontarci un po’ della sua avventura nell’Associazione, ponendogli la più classica delle domande: perché hai scelto di diventare arbitro? “La scelta è stata determinata dal fatto che avevo un cugino che già arbitrava. Spesso mi parlava di quanto fosse bello far parte di un’associazione e di essere in campo a dirigere un incontro. Spinto dalla curiosità, mi sono iscritto al corso arbitri e ho provato ad arbitrare. Piano piano – continua Pierantonio – è nata in me la passione per quest’attività. Il duro allenamento e la voglia di fare sempre meglio mi hanno portato dove sono arrivato”.
Lo “stato di servizio” di Pierantonio è, infatti, ineccepibile: arbitro dal 1982, una brillante carriera che lo ha portato fino alla massima categoria regionale, per poi vederlo passare al calcio a 5 con dieci anni di permanenza ai campionati nazionali fino alla Serie A1. Tre anni fa’, dopo la lunga carriera sui terreni di gioco, diventa osservatore del calcio a 5, ruolo che ricopre tuttora a disposizione della CAN 5.
Dal 2006 è sceso in campo anche il figlio maggiore Alessandro, 21 anni e studente universitario, che dopo tre stagioni all’Organo Tecnico Sezionale è salito in Prima Categoria. Da questa stagione arbitra in Promozione. A lui chiediamo cosa l’ha convinto a seguire le orme del padre: “Da bambino con la mamma andavo ogni tanto a vedere arbitrare il papà sui campi da calcio locali – ricorda Alessandro – e oltre anon capire perché non lo potevo salutare, ero ammirato dal ruolo che ricopriva. A quindici anni poi, non essendo molto portato per giocare al pallone, decisi di seguire il suo esempio. L’idea di fare l’arbitro non mi spaventava, anzi consideravo la scelta di intraprendere quella carriera al apri dai diventare calciatore piuttosto che nuotatore, non ci ho mai visto nulla di strano. Spesso quando mi si chiede che sport pratico e rispondo che faccio l’arbitro il mio interlocutore appare prima stupito e poi curioso di capire il perché della mia decisione, considerando tale scelta un po’ strana per un ragazzino di 15 anni!”.
Ultima arrivata ma non meno meritevole di spazio è la più piccola in casa Ruffoni: Annalisa, 16 anni e studentessa al liceo. Dopo il corso arbitri ha iniziato a dirigere nel girone di ritorno della stagione 2010/2011. Tuttora arbitra stabilmente nella categoria allievi ma spera in un passaggio alla Juniores prima della fine della stagione. “Ho deciso anch’io di diventare arbitro – racconta Annalisa – perché innanzitutto sono sempre stata appassionata di calcio. Da sempre in casa si parlava di arbitraggio e mi piaceva l’idea di misurarmi in quello che succede in una partita. Essere un arbitro donna lo avrei pensato più difficile, in realtà mi rendo conto che noi donne siamo facilitate ad esempio per quanto riguarda le proteste: i giocatori sono spesso intimoriti dal fatto che l’arbitro sia del gentil sesso, il pubblico evita di urlare insulti pesanti e che innervosiscono le partite e ne conseguono così gare più tranquille e giocate”.
Avere tre componenti della stassa famiglia iscritt e operanti nell’Associazione Italiana Arbitri: un caso raro in Italia, unico in Lombardia. In Valtellina succede: quando il triplice fischio è di famiglia!
Un articolo scritto da:
A.E. Andrea Ciaponi
(Pubblicato su L’Arbitro n. 1/2012, pp. 40 – 41) – Versione PDF