Intervista a Lorenzo Ferrandini

Lorenzo Ferrandini

Lorenzo Ferrandini

SONDRIO – Lorenzo Ferrandini è il simbolo in tutta Italia della Sezione di Sondrio. Lorenzo ha il merito di essere arrivato nella massime categorie nazionali del calcio a undici e ha scritto (anzi lo sta ancora facendo) un’importante pagina della Storia della nostra Sezione. Recentemente ho avuto l’occasione di intervistarlo con l’obiettivo di capire e far capire (in particolare ai giovani colleghi arbitri) quanta dedizione e fatica sia necessaria per raggiungere certi obiettivi ambiziosi.

Caro Lorenzo, nella Sezione di Sondrio non si può parlare di Arbitrare senza far riferimento a te e alla tua lunga carriera ricca di esperienze. Per cui inizierei questa intervista con una domanda difficile, ma allo stesso tempo basilare per l’approccio di questa attività: Arbitrare che cosa significa?
Arbitrare significa tantissime cose… è prima di tutto uno sport, che vive principalmente di regole e regolamenti, di vita associativa, di sudore, allenamenti e viaggi, spesso da soli… è un esame continuo, è capacità di accettare giudizi a volte difficili da condividere, è felicità per una prestazione eccellente e delusione per un errore o una caduta… è conoscere gente e luoghi diversi… è lavorare per migliorarsi settimana dopo settimana, raduno dopo raduno… è maturità nel capire i propri limiti e lavorare per spostarli un po’ più avanti… è sacrificio per il tempo tolto alla famiglia e ad altre passioni… è l’odore dell’erba appena tagliata prima di una partita in notturna… è guardare il pubblico che riempie gli spalti durante il riscaldamento pre-partita… è impazienza di dare il fischio d’inizio… è dettare i tempi di un’orchestra di cui sei parte attiva…

La tua carriera sul campo è stata lunga, ma come in tutte le esperienze ha avuto un punto di partenza. Quando hai iniziato avresti mai creduto di poter arrivare ai massimi livelli nazionali?
Quando si inizia un’attività credo sia legittimo aspirare ad arrivare più in alto possibile, cercando però di tenere sempre in conto – con la necessaria onestà intellettuale – i propri limiti e le proprie possibilità, anche in relazione al tempo ed all’impegno che si possono dedicare all’attività. Quando ho iniziato ad arbitrare, dopo un veloce periodo di ambientamento nelle categorie giovanili, i risultati mi hanno portato a pensare di poter ben figurare a livello regionale, quindi in serie D a livello nazionale, e poi in serie C, finché i miei limiti o quelli imposti dai regolamenti me lo hanno permesso.

L’esperienza nel nostro caso è data da decisioni e da partite da gestire tentando di dare sempre il meglio. Qual è stata la partita che sempre ricorderai?
Beh, ce ne sono tante… l’esordio prima di tutto… giovanissimi provinciali: Tiranese – Hard Sondrio al campo di Tovo S.Agata ai primi di ottobre del lontano 1991. Da un campo di periferia ad un tempio del calcio… come scordare la prima volta che sono entrato sul terreno del Meazza da quarto uomo in Milan – Lazio… Oppure ancora Genoa – Ravenna, come arbitro in serie C, di cui ricordo con un brivido i colori e il frastuono di Marassi…

E Qual è la partita nella quale sai di aver dato il meglio di te?
Sicuramente una delle mie migliori prestazioni arbitrali è stata Giulianova – Teramo, al quinto anno di serie C… un derby sentitissimo in posticipo e diretta TV, con successiva impepata di cozze all’una di notte!!!

Come in tutte le esperienze, anche nella nostra capita di avere delle difficoltà, che certo sono uno stimolo per crescere con continuità e costanza. Quel è la partita nella quale non sei riuscito a dare il meglio di te?
Anche in questo caso ce ne sono tante, al punto da confonderle e dimenticarle… L’importante dopo ogni gara è cercare di capire le cause di una prestazione sottotono e lavorare poi per migliorarsi.

Dal 1991, anno del tuo esordio, fino ad oggi hai vissuto campi e realtà molto diverse, hai viaggiato in tutta Italia e hai certamente fatto esperienze rare e uniche. Pensando a tutto questo, qual è stato il momento migliore della tua carriera?
Sarei felice se il momento migliore fosse quello che deve ancora arrivare… Guardando indietro, sicuramente le maggiori soddisfazioni sono arrivate negli ultimi anni della serie C, nei quali posso dire di aver raggiunto la mia massima maturità arbitrale e – nonostante il grande impegno che la categoria richiedeva e le non poche difficoltà di conciliare l’attività arbitrale con il lavoro e le relazioni affettive – ho cercato di cogliere al meglio anche molti aspetti di contorno dell’arbitraggio, quali le relazioni umane con i colleghi, la scoperta di luoghi e città nuove, una certa goliardia in occasione dei numerosi raduni… in altre parole il divertimento dentro e fuori dal campo…

La vita è un percorso fatto di alti e bassi, nei quali una persona costruisce la propria personalità ed esperienza. Hai avuto un momento particolarmente difficile nel corso della tua carriera? Come l’hai superato? Dove ne hai trovato la forza?
L’arbitraggio, come ogni altra attività, presuppone che il proprio operato sia giudicato da altre persone, ciascuna con il proprio bagaglio personale, culturale, professionale. Come ogni arbitro anch’io ho vissuto diversi momenti in cui ritenevo ingiuste certe valutazioni oppure non riuscivo ad emergere nonostante fossi convinto di meritare di più (due anni e mezzo in prima categoria direi che sono un bel colpo!), nel corso del quale ho più volte pensato di abbandonare con l’arbitraggio e dedicarmi ad altri sport. Ma la passione, l’orgoglio, la mia cocciutaggine da montanaro, una certa dose di umiltà e senso di autocritica, unite a quel pizzico di fortuna rappresentato da un Organo Tecnico che ha visto in me delle qualità che altri prima ritenevano non ci fossero, mi ha permesso di uscire dal “pantano” in cui mi ero arenato e di lì in brevissimo tempo passare in Promozione, Eccellenza e quindi in serie D, allargando quindi gli orizzonti a livello nazionale.

Finita la tua lunga e gratificante carriera sul campo hai colto l’occasione di affrontare il campo da un punto di vista differente, ma allo stesso tempo stimolante. Come ci si sente ad essere diventati un “formatore per arbitri”?
La formazione arbitrale comprende moltissimi aspetti: quello regolamentare, quello comportamentale, quello motivazionale. Sono però convinto, come molte volte ho sentito da Organi Tecnici e Dirigenti durante il mio percorso arbitrale, che “prima dell’arbitro viene l’uomo”. Ogni sforzo formativo deve partire da qui e deve tenere conto di questo concetto, in relazione all’età dei ragazzi e delle ragazze con cui si lavora, alla categoria in cui si opera, al ruolo che si cerca di valorizzare. Ritengo poi, soprattutto quando si parla di giovani che si affacciano all’attività arbitrale, che la trasposizione dell’esperienza di chi ha vissuto situazioni e contesti di alto livello possa essere un grande stimolo per aumentare la curiosità, la voglia di fare e l’impegno nell’attività… Bisogna trovare il modo, a mio parere, di “nutrire la passione per l’arbitraggio”! Se non c’è passione, o se viene meno col passare del tempo, credo che la sola cosa da fare sia cambiare sport!!!

Ho aperto questa intervista chiedendoti cosa fosse arbitrare. Ma come ogni arbitro ben sa, l’arbitraggio non può prescindere dalla “casa madre” rappresentata localmente dalla Sezione e a livello nazionale dall’AIA. L’AIA per te che significa?
La prima “A” è molto importante… Associazione… Ben conoscendo le difficoltà che ciascuno di noi può avere nel conciliare impegni di lavoro, affetti, famiglia o altri interessi, ritengo che tutti debbano dare il loro contributo affinché l’aspetto associativo sia valorizzato sotto ogni sua forma: lezioni tecniche, raduni, attività ludiche, tornei tra colleghi…

Eccoci alla fine della nostra intervista. Abbiamo parlato della tua carriera dagli inizi fino ai massimi livelli nazionali, abbiamo parlato della tua nuova attività all’interno dell’Associazione, abbiamo parlato dell’AIA e della vita Sezionale. Ora, per concludere, penso sia corretto provare a trovare un consiglio per i colleghi meno esperti e magari all’inizio di questa avventura. A un giovane arbitro alle prime armi cosa consiglieresti?
L’inizio dell’attività arbitrale può essere molto gioioso e “facile” oppure molto complesso, in relazione al carattere del ragazzo o della ragazza ed alle precedenti esperienze sportive, soprattutto calcistiche. In questa fase il supporto dei tutor e degli osservatori è certamente un aiuto per un veloce e positivo ambientamento nel ruolo, e sarà tanto più efficace quanto il ragazzo o la ragazza sapranno approfittarne.
E’ poi molto importante per i “novelli fischietti” frequentare la sezione e relazionarsi con i colleghi più anziani per chiarire dubbi, approfondire aspetti regolamentari, organizzare le trasferte, confrontarsi su problemi e condividere stati d’animo.
E’ poi assolutamente fondamentale, se si vuole crescere e migliorarsi, che si dedichi tempo e lavoro alla propria condizione atletica ed alla conoscenza del regolamento.
E poi tanta, tanta umiltà…

L’intervista si chiude con una considerazione molto importante: “tanta, tanta umiltà”. Infatti, essere arbitri è continuare a crescere gara dopo gara senza mai fermarsi, credere nelle proprie forze e impegnarsi sempre al massimo a tutti i livelli. L’AIA non è solo un’istituzione, ma è soprattutto una famiglia nella quale ne siamo tutti parte attiva e possiamo contribuire, anche con poco, alla sua crescita.

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